martedì 25 dicembre 2018

IL DUALISMO CARTESIANO

Per Cartesio le verità scientifiche possono ingannarci. Così afferma di avere un dubbio iperbolico, cioè totale e completo; ma non può dubitare di sè stesso che sta dubitando. Io sono la prima verità ''io che sto dubitando sarò pure qualcosa''. Penso dunque di esistere ''cogito ergo sum''.
Il 'Cogito'' non è un ragionamento di tipo sillogistico; è un'intuizione che balza immediatamente agli occhi del soggetto quando questo dubita di ogni verità. 


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La certezza a cui giunge Cartesio è che ''io esisto'', ma come ''cosa'' pensante. 
Resta da dimostrare l'esistenza di me come corpo, delle cose fuori di me. Lo dimostra partendo dall'unica verità trovata: essere una ''cosa pensante'' (=res cogitans).
Nella mia mente trovo delle idee che si possono raggruppare in tre tipi:
  1. idee fattizie
  2. idee avvertizie
  3. idee innate
Il filosofo le mette tutte in dubbio per dimostrare l'esistenza di me come corpo.
Le idee fattizie sono costruite da noi stessi, come ad esempio l'idea del cavallo alato o delle sirene; non servono a garantire il mondo.
Le idee avvertizie, che ci provengono dall'esterno, possono essere illusorie, frutto del genio maligno.
Le idee innate, che non possono derivare dall'esterno o da una mia creazione, cioè che sono già dentro di noi. Come idee innate troviamo l'idea di Dio, sia esterna che interna.


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Qual'è la causa di quest'idea visto che si trova già dentro di noi? Chi ha messo dentro di noi l'idea di Dio? 
Cartesio ipotizza l'io, ma quando parliamo di cause ed effetto, ogni causa deve essere adeguata all'effetto che produce; una causa minore, inferiore, non può produrre un effetto più grande di lei. Ipotizza che possa essere stato qualcos altro (suora, prete, madre), ma non può essere un altro uomo per lo stesso principio di prima.
Se fossi io (imperfetto, limitato, mortale, ecc) ad aver prodotto l'dea di Dio nella mia mente ci sarebbe una causa inferiore che produce qualche cosa di più grande di lei. E' impossibile che sia io ad aver prodotto l'idea di Dio.
Bisogna quindi trovare una causa adeguata all'idea di Dio, causa grande tanto quanto (oppure maggiore) rispetto all'idea di Dio.
Qua'è l'unica causa possibile per l'idea di Dio nella mia mente?
L'unica causa possibile è solo Dio; egli è la causa adeguata che ha posto l'idea di sè stesso nella mia mente. 
In conclusione Dio esiste. Tutto ciò viene affermato nel primo argomento. Nel secondo argomento, che completa il primo, afferma che se per assurdo fossi stato io a creare l'idea di Dio, perchè non darmi anche tutte le sue perfezioni?
Poichè io non sono perfetto quanto Dio, non posso essere causa della sua idea di me. Dio esiste.
Nel terzo argomento  cita la prova ontologica di Sant'Anselmo, Dio è essere perfetto e se è perfetto no può mancargli nulla, neppure l'esistenza. Dio esiste necessariamente poichè esiste ed è infinitamente buono, egli mi ha creato con gli strumenti per cogliere la realtà (sensi e intelletto) e ha creato anche la realtà.
Dio è ''garanzia'' dell'esistenza nel mondo, ma non può venire dall'intelletto. Però ci può essere un errore: l'errore però non può venire dall'intelletto. Esso deriva dalla fretta che abbiamo nel giudicare le cose: esso viene dalla volontà. Per evitare l'errore è necessario dichiarare vero solo ciò di cui siamo certamente sicuri, ciò che è evidente. 
Tutto ciò che si estende in uno spazio; il mondo esterno è ''res extensa''. Esso rappresenta una realtà autonoma ed è dotato di una natura del tutto differente rispetto all'anima.
Per Cartesio la conoscenza dipende dall'intelletto; con il ''cogito'' fonda la propria esistenza e l'esistenza del mondo. Essa appartiene alla posizione filosofica del razionalismo.
Sono filosofi razionalisti Cartesio, Spinozza, Leibniz.
Secondo questa posizione del 1600 è la mente che fonda la conoscenza.

Il dualismo cartesiano afferma che il puro pensiero è del tutto indipendente dai processi fisiologici: quanto il nostro corpo muore, l'anima non viene lesa, ma rimane in vita come lo era anche prima della nostra nascita.
Cartesio definisce ''automatici'' i movimenti che il nostro corpo può compiere senza l'intervento della volontà.
Secondo lui gli animali costituiscono il chiaro esempio di esseri viventi automatici: bete-machine (bestia-macchina). Invece gli uomini esprimono il proprio pensiero in modo chiaro e preciso.
Gli animali sono molto simili alle macchine, mentre noi uomini siamo liberi.

IL METODO DI CARTESIO

Cartesio, uscito dal collegio afferma che si trova sperso tra tanti dubbi ed errori; inoltre pensa di aver accresciuto non il sapere ma l'ignoranza.
Egli comprende che il sapere conosciuto serva ad imparare verità già dimostrate, ma non a trovarne di nuove. E' così necessario dare un nuovo fondamento al sapere.
Ribadisce che gli piacevano le matematiche per la certezza e l'evidenza delle loro ragioni.
S interroga su: ''Perchè mi trovo così sperso tra dubbi ed errori? Perchè non è possibile costruire altri saperi su questi fondamenti?''. Conclude così che tutto il sapere proposto al collegio, serve per imparare verità già scoperte, ma non permette di trovarne di nuove. Così bisogna ricercare un nuovo metodo per trovare i fondamenti del sapere. 
La parola ''metodo''significa modo, sistema per guidare l'intelligenza; deriva dal greco ''meta'', cioè oltre, dopo e ''hodos'', cioè strada, via.
Nel conclusione questa è la strada, tappe, regole per procedere verso la verità senza cadere in errore.

Le quattro regole del metodo di Cartesio sono enunciate nell'opera ''Discorso del metodo''.
Esse sono disposte in successione e hanno un nome.

  1. la prima regola è quella dell'evidenza; essa afferma che bisogna prendere come vero solo ciò che risulti tale con evidenza; bisogna prendere come verità solo ciò che immediatamente ci appare come vero, cioè chiaro e distinto. La parola chiarezza significa che la verità non deve essere confusa, si giustifichi da sè, sia limpida e lineare, balzi subito agli occhi. Come distinta Cartesio intende ben definita in sè stessa, riconoscibile, distinguibile, che non si confonda. L'evidenza si può ritrovare in modo chiaro e distinto con l'esempio seguente: ''il mal di denti''. L'atto con cui si coglie questa verità è l'intuizione; con essa comprendiamo subito qualcosa, non è un ragionamento fatto di passaggi logici, ma significa cogliere una verità immediata, trasparente, che balza subito agli occhi.
  2. la seconda regola è quella dell'analisi, la quale prescrive di dividere ogni problema nelle sue parti elementari: risolte individualmente, esse rendono più facile la soluzione del problema stesso.
  3. la terza regola della sintesi prescrive di procedere nella conoscenza passando dagli oggetti più semplici a quelli più complessi, attraverso grandi successivi.
  4. la quarta regola dell'enumerazione o revisione prescrive di fare sempre enumerazioni complete e revisioni generali, così da essere sicuri di non omettere nulla.

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QUALI VERITA' HANNO I CARATTERI DI EVIDENZA, CHIAREZZA E DISTINZIONE?
Per trovare una verità evidente, cioè chiara e distinta, è necessario prendere tutte le verità che si presentano all'uomo e metterle alla prova, dubitarle.
Questo metodo del dubbio viene chiamato ''dubbio metodico''.
Esso è un dubbio che non ha lo scopo di distruggere tutto, ma che serve per trovare la verità.
Ogni verità che ottiene l'uomo deriva dai sensi, dall'intelletto e dalla scienza.
La verità sensibili sono ottenute attraverso la conoscenza dei sensi.
Qualche volta i sensi però ci possono ingannare, altre volte invece ci indicano la verità; ma poichè i sensi a volte ingannano, come si può fidarsi di loro?
Inoltre c'è un ambito particolare di massimo inganno dei sensi: il sogno.
Le verità sensibili non sono certe.
La veritè intellettive, sono ottenute attraverso il ragionamento. 
Cartesio afferma che anche un ragionamento può essere errato; se ad esempio partiamo da una premessa sbagliata o se ci si smarrisce nei passaggi logici. Conclude dicendo che anche le verità intellettive possono essere errate.
Infine analizza le verità scientifiche, cioè ottenute dalla scienza. In genere sono valide ma non assolute. Inoltre immaginiamo che esista un genio maligno ingannatore, un possibile principio primo, una divinità.

domenica 23 dicembre 2018

LA VITA DI CARTESIO

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Cartesio nacque nel 1596 a La Haye, nella regione francese della Touraine. Egli studiò nel collegio di La Flèche, nel 1616 si laureò a Poitiers in diritto canonico e civile. Nel 1618 si arruolò come volontario in uno dei due eserciti francesi stanziati a Breda, in Olanda. Tra il 1620 e il 1625 intraprese una serie di viaggi visitando anche l'Italia, per poi stabilirsi a Parigi dal 1625 al 1628. Dal 1629 si traferisce in Olanda dove vive per lungo tempo dedicandosi ai suoi studi. In questo periodo si sposò ed ebbe anche una figlia che morì precocemente; Renè Descartes ne rimase molto addolorato. Nel 1649, su invito della regina Cristina, Cartesio si stabilì in Svezia, a Stoccolma, dove morì di polmonite nel febbraio del 1650.
Tra le opere principali di Cartesio ricordiamo ''Regole per la guida dell'intelligenza'', composte verosimilmente nel 1628 m pubblicate nel 1701; ''Il discorso sul metodo'' fu pubblicato in anonimo a Leida nel 1637; in realtà fu un'introduzione di carattere autobiografico e metodologico a tre saggi scientifici ''Diottrica, Meteore e Geometria''.
Altre opere furono ''Le meditazioni sulla filosofia prima'' (1641), ''I principi di filosofia'' (1644) e ''Le passioni dell'anima'' (1649).


GIORDANO BRUNO

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Giordano Bruno, filosofo del '600, fu l'artefice della concezione moderna dell'infinito.
Egli affermò che l'universo è uno spazio infinito costituito da infiniti mondi.
Secondo tale Dio si identifica come causa e principio primo infinito. Da quest'ultimo non può che derivare un effetto infinito, ovvero un cosmo che abbia le caratteristiche dell'infinità.
Dio però è ''la mente insita di tutte le cose'', il principio razionale immanente nel mondo. 
In questo senso è ''anima del cosmo'' che contiene tutte le idee e che dall'interno plasma la materia. La materia si identifica come massa corporea del mondo.
Forma e materia, idee e cose, risultano come sostanze uniche cioè aspetti dell'unica sostanza universale infinita. Questa visione viene identificata come panteista, cioè significa che Dio coincide con la natura.
L'universo, così inteso, è un grande essere animato di cui gli enti, compresi gli uomini, non sono che singole manifestazioni in cui ogni cosa è inserita in ordine gerarchico e collegata a tutte le altre.
L'uomo, in quanto partecipe dell'ordine dell'universo, può impadronirsi delle sue leggi e conquistare i segreti.



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Per Giordano Bruno, lo spazio non solo è infinito, ma contiene infiniti mondi. In tale universo tutto è centro e periferia al tempo stesso e ogni stella può essere un sole al centro di altri universi. Questo ventaglio di idee venne esposto nell'opera ''La dotta ignoranza di Cusano''.

Inoltre egli affermò che il cosmo non può essere chiuso entro i confini e non vi sono ''fini, termini, margini, muraglia''. Invece, l'essere è ''totalmente ripieno di se stesso'' e l'infinito non può essere delimitato da nulla.
Questa concezione dell'universo ha una conseguenza significativa: la terra e l'uomo sembrano non occupare più quel posto privilegiato (al centro del creato); nella visione del filosofo altri mondi abitati e altre civiltà sono legittimamente ipotizzabili. Queste tesi per l'epoca, sono estremamente rivoluzionarie in quanto mettono a repentaglio l'intera visione del mondo.
Nell'ambito della generale rivalutazione della natura, la celebrazione dell'uomo, essere naturale divino, è partecipa del processo creativo di Dio.
Bruno esalta l'uomo che dagli dei ha ricevuto in dono la capacità di contemplare e trasformare il mondo; tutto ciò fu affermato nelle pagine di ''Lo spaccio della bestia trionfante''.
L'uomo è differenziato dagli altri animali in quanto padroneggia il possesso dell'intelletto e delle mani. In tale prospettiva la capacità pratica e quella intellettiva non sono in contraddizione, ma risultano entrambe fondamentali per la comprensione e la trasformazione delle cose, in vista del progresso tecnico e scientifico.
Di concerto registriamo una novità rispetto al primo umanesimo: con il filosofo rivoluzionario la dignità dell'uomo non è affidata soltanto alla forza dell'intelligenza, ma anche al lavoro manuale che costituisce la causa ultima, grazie alla quale l'uomo si è allontanato dalla condizione bestiale per avvicinarsi a quella divina.
Nell'opera ''Degli eroici furori'', pubblicata nel 1585, il filosofo riprende il tema platonico dell'éros, immaginando che l'uomo, insoddisfatto dell'amore carnale, si innalzi all'amore totale della natura.
L'uomo, che si lascia prendere dall'eroico furore, cioè dall'ardente desiderio della conoscenza, si sottrae ai desideri bassi e volgari (''i bassi furori''), si dedica alla ricerca del suo soggetto infinito.
La natura, alla fine diviene oggetto. In altre parole l'essere umano giunge ad identificarsi con il processo cosmico.
Il filosofo seicentesco celebra la natura come il vertice della conoscenza e dell'amore umano, ma anche come impulso vitale.